Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Gli ufficiali, quasi tutti di razza ariana, sospendendo la lettura, in cui erano immersi, mi guardavano con curiosità, e, conosciuta la mia qualità, si dimostravano lieti e grati della mia visita.
     M'interessavo anche dei loro morti, che qualcuno, nella nebbia delle passioni, avrebbe voluto seppellire fuori del comune cimitero. Io, da altre considerazioni sospinto, ordinavo che essi fossero collocati non soltanto nel cimitero, ma addirittura nel campo riservato ai nostri caduti, affinchè ne potessero dividere, nella comune eterna pace, i fiori, le onoranze, la umana pietosa bontà.


     Sera mistica

     Si giungeva, così, alla vigilia di Natale, festa sempre cara agli animi gentili, agli uomini di fede e di buona volontà, e sempre colma di ricordi, di significato, di santità.

     Mi trovavo alla sera di quel giorno, per caso, in una corsia del Liceo Convitto, che ancora funzionava da Ospedale militare. Vi regnava, in una luce opaca e diffusa, il più assoluto silenzio. Vi parlava in un lato, tra altri ufficiali medici, il Direttore. Il tono della voce non poteva essere molto burbanzoso, poichè, su i diversi fronti, già notevoli sconfitte avevano sofferte le armate teutoniche, ma gli accenti per la patria lontana sofferente erano sempre caldi d'amore e di passione. Nessun applauso, alla fine della mistica commemorazione, partiva da quei soldati, rimasti come in un profondo raccoglimento. Anche nei loro animi turbati non potevano non far ressa i ricordi della loro terra, della loro Chiesa, degli affetti familiari.


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Umberto