Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Ma ora anch'io, fuori del tetro fabbricato, ero padrone, signore dello spazio. Mi potevo muovere in qualunque direzione, come volevo, senza essere guardato, senza essere controllato. I rigidi custodi delle chiavi e delle ferrate porte, non avevano pił su di me autoritą alcuna.
     Fuori sostavo alquanto, raccolto nelle mie considerazioni. Il sole piegava al tramonto. In quel recinto, che lasciavo, vi ero stato altre volte, quale Podestą, in benefica funzione. Vi ero tornato nelle grandi feste, a rendere ai rinchiusi, con la parola, poi, ancora con le elargizioni, meno pungente la ricordanza, pił ricca per quel giorno la mensa, pił viva per il futuro la fede, la speranza.
     Vi ero tornato poco prima dei nuovi eventi, per compiere verso gli internati, colą rinchiusi, la stessa umanitaria opera.

     Per la bizzarria della incerta vita, vi ero tornato ancora, ma nella stessa qualitą di quei beneficati: detenuto.
     Casa strana. Non sua, ad ogni modo, era la colpa se in essa si raccoglievano, nelle alterne vicende, le umane sventure La colpa risaliva ai vizi, agli inganni, alla guasta natura dello stesso uomo. Il penitenziario poteva stare lą, come un monumento, ad osservare, con uguale filosofia, gli ospiti che vi giungevano e quelli che ne uscivano ospiti qualche volta puri, nella loro innocenza; tale altra macchiati delle pił brutte colpe. Ne poteva ancora ascoltare, chiusi nel ferreo grembo, i lamenti e le imprecazioni, i sospiri e le preghiere, ma soltanto per la trascrizione nel proprio doloroso diario. La sua esistenza, che discendeva, come necessaria funzione sociale, con i delitti dai secoli, sarebbe passata con i delitti, per l'umana difesa, nei secoli futuri.


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Umberto