Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Il fatto, che molto impressionava, produceva molto fermento e propositi ardimentosi. Un gruppo di giovani, in collegamento forse con le bande della montagna, armati di bombe e di rivoltelle, si erano proposti di tentare la mia liberazione. Intenzione, certo, encomiabile, gesto degno di storico ricordo, ma in quel momento, dinanzi a quella soverchiante rabbiosa forza avida di sangue, funeste ne sarebbero state per me, per la cittą e per gli stessi giovani, le conseguenze. Per fortuna, poco prima di lanciarsi all'assalto, capitava tra essi il brigadiere dei Vigili del Fuoco, Armando D'Amico, il quale con fatica riusciva a richiamarli alla realtą della situazione. S'allontanavano, č vero, ma per correre ad appostarsi nei pressi del ponte della stazione, per tentare colą la mia liberazione, qualora fossi stato condotto altrove.


     Quella caserma, intanto, guardata attorno da una siepe di cannoni e di mitragliatrici, era, nel modo pił brutale, svaligiata. Il sangue, dinanzi a tanto scempio, ribolliva nelle vene; ma purtroppo non si poteva che guardare con le braccia incrociate, non avendo pił quelle armi, con cui avremmo dovuto difendendoci, rintuzzare la violenza, tutelare il nostro onore.
     Anche i carabinieri, non avvezzi a piegare, frementi nell'impotenza, erano brutalmente disarmati. Le stesse loro armi erano, poi, gettate, con violento disprezzo, dall'iroso straniero, su un autocarro, come preda di guerra. Il pubblico, trattenuto di lą dal cordone, guardava e mormorava.
     Dopo un'attesa incerta di qualche ora, ed un breve colloquio con un colonnello, tra il generale sollievo, ero lasciato libero. Era trattenuto, invece, e trattato aspramente, il Bologna, Nel saluto che ci scambiammo, quando gli passai vicino, si poteva leggere tutta la tempesta che, per quella nostra sciagurata situazione, tumultuava in fondo al nostro animo.


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Umberto