Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Una volta libero tornavo al mio ufficio, ove ero atteso con molta ansia. Tornava con me l'ottimo funzionario del comune Gino Di Francesco, che, in uno squisito senso di devozione, con suo rischio, mi aveva voluto accompagnare volontario in quella pericolosa avventura.
     Nello stesso giorno, in quella stessa piazza del Carmine, nelle vicinanze della Chiesa, accadeva un fatto molto grave. Un uomo della campagna, modestamente vestito, si era avvicinato, timido e bonario, ad un gruppo di quei soldati. Evidentemente doveva conoscere, forse per essere stato in Germania, qualche parola della loro lingua. Alcune donne, non molto lontano, con i capelli arruffati, con gli sguardi torvi, ne osservavano, con sospetto, i movimenti. Quando pareva loro che quell'uomo, ritenuto spia, desse a quei soldati indicazioni sulle posizioni occupate dai partigiani in montagna, esplodevano in un terribile satanico furore. Si lanciavano sul malcapitato, come belve ferite, lo afferravano, lo trascinavano con sč, lo atterravano. Senza alcuna sosta lo percuotevano con zoccoli, sassi, bastoni; gli tiravano i capelli, gli conficcavano le unghie nelle carni. Invano il disgraziato gridava aiuto, invocava pietą. I presenti s'allontanavano, i passanti, inorriditi, affrettavano il passo, andavano oltre. Gli stessi Tedeschi assistevano alla feroce scena muti, freddamente impassibili; nč se ne occupavano, nel generale smarrimento, i carabinieri, nč gli altri agenti della forza pubblica.

     Quando in quelle furie l'ira trovava un po' di tregua, lo sventurato giaceva a terra scomposto e senza vita. Non placate incrudelivano ancora su quel corpo straziato, trascinandolo oltre la piazza, oltre la strada, per gettarlo dal muraglione, sotto il quale passava il fiume.


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Umberto