Un vero castigo di Dio, mai ricordato a memoria d'uomo.
Un vero castigo anche per le autorità, che nel giorno seguente si trovavano di nuovo in conflitto con i comandi militari. Tutte le strade erano state chiuse, dall'alta neve, al traffico. I Tedeschi pretendevano che fossero subito riaperte al normale uso, anche con l'impiego delle donne, almeno in città.
I cittadini rimasti, come al solito, sordi agli inviti ad essi diretti, rendevano delicata la situazione. Si presentivano già altri contrasti, altre minacce. Il giorno tre, infatti, alle ore nove, si presentava a me, accompagnato da altro ufficiale, il Comandante della Piazza. Dopo una sfuriata contro i cittadini, che nulla volevano fare, concludeva sgarbatamente, con l'orologio alla mano, che se per le ore undici di quello stesso giorno, non si fossero presentati dinanzi al palazzo delle magistrali cinquecento uomini, la città sarebbe stata messa a fuoco.
La minaccia era stata fatta con un tono, con una rudezza tale da non offrire speranza ad una qualsiasi attenuazione. Non essendovi, per la salvezza della città, da perder tempo, impartivo, con tutta urgenza, ai competenti organi comunali, precise istruzioni. Nessuno pensava, neppure per un momento, ad una eventuale disubbidienza. Comunicato il fatto anche alla Prefettura, correvo dinanzi alle magistrali, per seguire, da vicino, lo svolgersi degli eventi. Alle ore dieci e mezzo si erano presentati, ciò che molto preoccupava, soltanto centocinquanta operai. Molti ancora ne mancavano. Si facevano successivamente intervenire, anche per interessamento della Prefettura, per aumentare il numero, spazzini, carcerati, impiegati.
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