Avevano disposto, inoltre, un servizio antiaereo, con cannoni e mitragliatrici, allo scoperto, in Piazza Garibaldi, nei pubblici giardini, sulle vicine colline. Costituiva ciò un vero pericolo e la città ne era allarmata. Dopo le mie vivaci rimostranze, quelle armi erano portate in altra lontana località.
Davano ancora disposizioni per un raduno di cani. Che cosa ne volessero fare non si sapeva. Se ne videro di ogni razza e di ogni colore, accompagnati dai dolenti proprietari, giungere comicamente da tutte le parti. Pazienza per i cani, in un momento di diffusa idrofobia.
Ma altro pericolo sorgeva d'improvviso per il patrimonio zootecnico, con l'ordinata requisizione graduale di tutti i nostri bovini. Manifestavo apertamente la mia contrarietà, rifiutando, nonostante le consuete minacce, qualunque indicazione. Si dava corso all'invito per un primo raduno, più tardi, su ordine della Prefettura. Ma l'intesa con i proprietari, che se ne restavano raccolti lungo le vallate del Tordino e del Vezzola, risultava perfetta: poche bestie e delle più scarte si presentavano alla consegna. Le altre, non avendo dato i Tedeschi segni di risentimenti, se ne tornavano, dalle vallate, alle proprie stalle.
Ma già altre volte, pur nella loro diffidenza e rigida vigilanza, i Tedeschi erano stati giocati. Al loro giungere erano state impartite riservate disposizioni per la distribuzione al popolo, nella più larga misura, del grano giacente presso i diversi depositi della provincia, del quale essi avevano già iniziata la requisizione.
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