Ma la notte passava, senza che la vigilanza, alla periferia e lungo le strade, fosse stata turbata.
Sul mezzogiorno, con il ritorno del Prefetto, si sapeva, e suonava come solenne beffa, che Castelli non era stato mai attaccato, che in nessun luogo vi erano stati feriti e morti, che i partigiani non si erano mai sognati di uscire, per operazioni belliche contro i propri fratelli, dai loro rifugi della montagna.
Ansia tormentosa
Così passavano, nell'ansia e nel pericolo, i giorni della passione. Dopo un'assenza di qualche tempo, che dava motivo a molte supposizioni, non escluse quelle di iniziate trattative di pace tra i belligeranti, i velivoli alleati ricomparivano e con maggiore frequenza. Volevano, evidentemente, ricuperare il tempo perduto. Gli allarmi si succedevano di ora in ora, di giorno e di notte, senza tregua. Di notte, sorvolando quasi le case, gettavano palloncini e razzi luminosi. Ma i buoni pretuziani, come al solito, se la dormivano tranquillamente. Tutt'al più i timidi facevano capolino dalle finestre, guardavano in alto, guardavano su e giù, brontolavano, maledivano e tornavano a dormire.
Una notte sullo scorcio di maggio, dopo un furioso giro su la città, che poteva far davvero rabbrividire, sganciavano bombe e spezzoni nella contrada del Cimitero Vecchio. Forse vi avevano visto qualche edificio illuminato. Non perdonavano alle luci. Molte le case lesionate; due colpite in pieno. Dalle macerie si estraevano feriti e sei morti, tre della famiglia Cialini, tra cui un giovane, Francesco, molto bravo, di anni diciotto.
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