Dopo aver dimostrato per quella assemblea e per le sue conclusioni la propria contrarietà, con i più fidi collaboratori, partiva per la montagna.
La notte calava, intanto, umida sulla città, che tutto ignorava, già divenuta, per effetto del coprifuoco, deserta nelle strade, silenziosa nelle case. Nei locali della Federazione, ove i gerarchi si erano, nel frattempo, raccolti, si elaborava, secondo le istruzioni del Prefetto, un piano di difesa. Ma gli stessi gerarchi dovevano, però, accertare che per tradurlo in atto, mancavano uomini, armi, munizioni.
Molti scherzavano quando quel fatto avrebbe dovuto indurre, quei rappresentanti di uno Stato che non più funzionava, alle più amare considerazioni.
Soltanto a tarda ora riuscivano a far partire alcune pattuglie, armate con fucili fuori uso, abbandonati in un fondaco dai Tedeschi.
La notte si svolgeva, intanto, monotona, senza novità. Ad una certa ora, improvvisamente, si sapeva che le camicie nere a Castelli erano state sopraffatte, che i partigiani marciavano vittoriosi, in gran numero e bene armati, su Tossicia e su Montorio. Del Prefetto, forse già vittima di qualche imprudenza, nessuna notizia.
I velivoli alleati, nel frattempo, rumoreggiando bassissimi sull'abitato, gettavano qua e là razzi luminosi. Lontano, dalla parte del fronte, verso la marina, s'udiva fortemente il cannone. S'udivano oltre le colline, verso le valli, formidabili scoppi di bombe.
Dava tutto ciò a chi vegliava la sensazione di una notte di battaglia, e faceva credere che qualche cosa di veramente notevole stesse per accadere.
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