Ma i Tedeschi, se vi si fossero decisi, mi avrebbero soppresso, quasi come una vendetta della storia, con quella stessa micidiale arma, con la quale io avevo personalmente e terribilmente falciate, nel maggio del 1916, le loro schiere, lanciate alla conquista della insanguinata quota 1528 del Costesin, Altipiano d'Asiago, affidata alla mia difesa.
Ed i Tedeschi erano stranieri e nemici.
Lessi e rilessi la lettera, con la massima calma, come posta ordinaria d'ufficio, e la posi nel cassetto, tra i documenti miei personali. Ben s'intende, anche dopo tale minaccia, che poteva non essere scherzo, rimanevo al mio posto, non ritenendo ancora compiuta la mia missione. Con i Tedeschi ancora in casa, i pericoli incombevano sempre gravi su la città. Decidevo di rimanere a qualunque costo, dinanzi a qualunque pericolo, sino all'arrivo degli alleati, sino al superamento della tremenda tempesta, non ancora placata.
Poi m'impiccassero pure!
Ma nei giorni successivi ricevevo dalla montagna altra lettera, scritta dal comandante Armando Ammazzalorso, secondo quanto egli stesso poi mi dichiarava, molto garbata. Con la stessa mi si ringraziava della mia opera, riconosciuta così dagli stessi partigiani, e mi si invitava a restare al mio posto, a protezione della popolazione.
Nel frattempo, poichè temevo che, con la partenza dei Tedeschi, l'ordine pubblico potesse essere turbato, a mezzo del Signor Antonio Gattarossa, cercavo di prendere contatto, per concordare un piano comune d'azione, con gli stessi partigiani. Oltre che sulle guardie comunali, io potevo contare su l'opera di molti combattenti, che a mia richiesta, essendo loro Presidente, si erano messi, per ogni evenienza, a mia disposizione.
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