Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     E questi combattenti, i cui nomi figuravano in un elenco, se chiamati, avrebbero fatto molto bene il loro dovere, per la tutela della città e dei cittadini.

     Ma i Tedeschi, in quei giorni, mi guardavano con occhio sempre più sospettosamente torvo. Non si spiegavano, forse, la mia operosa calma, quando in un vivo panico i gerarchi fascisti, sordamente minacciati, cercavano salvezza nella fuga verso settentrione. Non ero in verità tranquillo, tanto che reputavo prudente di cambiar casa. Ma nelle loro ricerche, poiché proprio mi ricercavano, riuscivano a scovare questa casa, che era poi quella di mio cognato avv. Vincenzo Cameli, al largo Melatino, indicata loro, certo in buona fede, da una donna, vestita di nero. Era subito circondata e bloccata nelle sue uscite. Ma per quanto picchiassero, tra lo sgomento delle donne, che sole vi si trovavano, non si apriva loro. Io ero ancora, sia pure con ragionata prudenza, in adempimento della mia missione.

     Verso mezzogiorno, quando appunto, molto cauto, vi ritornavo, i Tedeschi, forse chiamati altrove, abbandonavano la casa e l'impresa. Li potevo vedere io stesso, mentre se ne allontanavano molto crucciati. Per il precipitare degli eventi, non avevano poi più tempo di ritornarvi.
     Col giorno quindici, infatti, le prime pattuglie della montagna, tra le quali quelle comandate dall'avvocato Pio Mazzoni, potevano entrare a fugare gli ultimi predoni, che s'attardavano per le strade deserte.
     In questa opera necessaria per l'eliminazione di ogni altro pericolo, il bravo avvocato, con lo zelo, metteva anche in atto la nobiltà, l'umanità del suo sensibile animo. Nelle attive ricerche s'imbatteva, nei pressi del viale Bovio, in due soldati motociclisti, che, essendo armati, potevano costituire ancora un pericolo per i beni e per la vita dei cittadini. Poichè non ubbidivano all'intimazione di resa, nella sua qualità di partigiano, sparava su di loro. Uno dei soldati, essendo stato ferito, poco dopo cadeva, mentre l'altro continuava, in motocicletta, nella corsa d'allontanamento. Poichè l'ira popolare, anche per gli ultimi atti commessi, era molto accesa contro i Tedeschi, il Mazzoni accorreva a difendere la vita, già minacciata, di quel soldato. Provvedeva successivamente, continuando nell'opera buona, ad una prima medicazione delle ferite, ad accompagnarlo, poi, per le altre cure, all'ospedale civile.


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Umberto