Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Luce viva, che rischiarava, tra il buio e lo scatenarsi delle passioni, la via della bontà.
     Più tardi arrivavano le altre bande, con i comandanti che cavalcavano, alla garibaldina, alla testa. Ricevevano dalla popolazione, riversatasi, come fiumana, sulle strade, una grandiosa dimostrazione, che induceva il vice prefetto Labisi, che funzionava da capo, anche lui conquistato dal generale entusiasmo, a consegnare ad uno dei comandanti i propri poteri.
     Dinanzi alla città che, dopo tante vicende e tante preoccupazioni, si vedeva libera dai Tedeschi, intatta nelle strade, nei giardini, negli edifici, nelle Chiese, nella popolazione, quelle manifestazioni, anche se fragorose, potevano essere giustificate. Ma si frammischiava ai partigiani, per dividerne gli onori, altra gente sbucata, non si sa da dove, all'ultimo momento.

     Nessuno, però, in quella festa, si ricordava di me, della mia opera. Destino riservato sempre agli uomini di buona volontà.
     Eppure, quando, sopportando da solo, o quasi, il peso enorme dei nove mesi di prepotente minaccioso dispotismo teutonico, mi ero volontariamente votato al sacrificio, non erano mancate le belle parole, l'approvazione, le lodi; non erano mancate le promesse di tangibili atti di gratitudine, di alte pubbliche popolari attestazioni. Invece, non appena scomparso il pericolo, tutto pareva dimenticato. Mi si toglieva anche la modesta soddisfazione di consegnare io stesso la città intatta ai liberatori, essendo stato all'ultimo momento, con la partenza dell'ultimo Tedesco, sostituito dalla carica di Podestà.


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Umberto