Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Nel giungere al carcere, all'ingresso, ero sottoposto a tutte le formalità, stabilite per i comuni delinquenti: trascrizione, nel registro dei criminali, delle mie generalità; ritiro di tutti gli oggetti e di tutti i valori; ritiro delle impronte digitali. Ero così stato servito per la storia nera!
     Andando oltre, ero accolto nella camerata n. 6, a me assegnata, dalla festosità di una coorte di giovani, di probi cittadini, di onesti funzionari, dai quali ero stato preceduto.
     Molta serenità vi regnava, ed ognuno si adoperava a rendere meno uggiosa quella vita. Il poeta dialettale Guglielmo Cameli allietava la brigata con la declamazione delle briose sue poesie. Altri raccontavano novelle, di sapore boccaccesco; altri, episodi pateticamente seri, o graziosamente ameni; altri ancora, rattristando, le bastonature, alle quali erano stati vigliaccamente sottoposti all'atto dell'arresto.

     Ad un tale genere di trattamento, che ricordava nefasti tempi, non era stato risparmiato neppure un mite sacerdote, accusato di operosità fascista.
     I segni apparivano ancora evidenti, nelle spalle illividite, nelle teste rotte, negli occhi ammaccati.
     L'allegra serenità, con cui tali episodi si raccontavano, non riusciva a nascondere la tempesta d'odio, che tumultuava in fondo all'animo dei colpiti.

     Io, rassegnato, ascoltavo e tacevo. Ascoltavo ma guardavo intorno, quasi intontito, quasi incredulo dal trovarmi in quel sudicio luogo, in forzato deleterio ozio. Luogo non ancora per nulla penetrato dal soffio del civile progresso.


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Umberto