Vi avevano asportato non soltanto divise, vestiti, biancheria, libri ed altri oggetti, ma anche cimeli, che ricordavano la grande guerra. Tra essi un pantalone, che indossavo in un combattimento, in cui ero rimasto ferito. Conservava ancora, con i fori delle pallottole che mi avevano colpito, le tracce del sangue sgorgato vivo dalle mie profonde ferite.
Non risparmiavano alla distruzione neppure una lettera, colma d'affetto e di benedizioni, ed i capelli santi della mamma morta.
La mano sacrilega era stata allungata anche a due catenine d'oro, che ornavano il petto di una madonnina, chiusa in una campana di vetro. Ma misteriose voci ammonitrici sospingevano l'empio a restituire l'oro votivo, alla defraudata madonnina.
Nel frattempo si accendeva in città, da parte di un'altra categoria di persone, da potersi considerare anche stimate, una vivace lotta per la conquista d'uffici, di imprese e di altri ben rimunerati posti di direzione e di comando.
Nei nuovi eventi, quindi, pur con le migliori intenzioni, nulla pareva mutato nella povera umanità. Erano stati distrutti distintivi, divise, emblemi; bruciati libri, riviste, opuscoli, fotografie; sostituiti nomi di strade, di piazze, di istituti, ma la storia continuava a svolgersi, nell'ordine politico e sociale, con immutata precisione.
Si pensava, quindi, con qualche ragione, che come la borghesia aveva fatto guerra e abbattuto la feudalità non per una effettiva elevazione del popolo lavoratore, ma per sostituirla nei privilegi, nelle ambizioni, nei godimenti; che come il proletariato, conculcato, insorgeva, a sua volta, contro la borghesia, quasi per prenderne il posto; così gli ultimi Italiani, tendevano a sostituirsi, con le loro azioni, negli avvenimenti ancora in atto, agli squadristi, con l'aggravante di mutare la guerra allo straniero, che avevamo ancora in casa, negatore dei nostri diritti e della nostra libertà, in sciagurata guerra fratricida.
|