Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Sembrava che, nei torbidi egoismi, nulla più si ricordasse della condotta degli eroi del nostro risorgimento, dei loro forti propositi, dei loro sacrifici, del perfetto accordo nel combattere gli oppressori della patria. Quegli eroi, che una volta ottenuta, in un fiume di sangue, l'unità nazionale, si ritiravano senza chiasso, senza pretese, senza ambizioni. Si ritiravano, con la fierezza del dovere compiuto, nel silenzio della casa, da cui erano partiti, nel raccoglimento del lavoro, dal quale si erano allontanati.
     Anche noi della grande guerra, che vivevamo ancora nello spirito di quegli eroi, con le nostre carni lacerate, con il nostro fisico menomato, nulla si chiedeva nel nostro ritorno vittorioso. Mutilati e decorati al valore, per superbe azioni di guerra, vivevano ignorati e silenziosi nella povertà e nel lavoro.

     Eppure una di quelle bande, nel tornare dalla montagna, prendendo come insegna la fiera figura di Garibaldi, dimostrava di conoscere a quale altezza si elevasse il Condottiero nel rinunciare, per l'unità e la concordia nazionale, ai suoi grandi ideali politici, alla possibilità di nomina a dittatore del regno da lui conquistato. La condotta di quel grande, che si ritirava, solo e silenzioso, con un sacchetto di semenza, nella solitaria rocciosa Caprera, molto avrebbe dovuto insegnare.
     E non soltanto a Teramo! Invece nulla di tutto questo si voleva ricordare. Molti, per benemerenze che non avevano, per atti non compiuti, per sacrifici non sopportati, per sangue non versato, si agitavano, minacciavano, chiedevano e pretendevano riconoscimenti e posti, ai quali non avevano diritto.


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Umberto