Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Anche i nuovi combattenti, di una guerra non vinta, non si rassegnavano a tornare, come i padri, ai loro campi, alla loro officina, alla loro bottega, al lavoro nobilissimo, del quale prima serenamente vivevano, dal quale erano partiti.
     Non tutti, però, per fortuna. Quelli che avevano combattuto con fede e ardore; che avevano lasciato, sulle terre gelide russe, o sulle sabbie infuocate africane, il loro sangue, brandelli della loro carne; che, senza loro colpa, erano stati catturati e trascinati in tristi campi, guardati da selvaggi, nulla chiedevano. Tornavano, anzi, mortificati, avviliti da quella disfatta, che non si poteva ad essi attribuire. Ed avevano severe parole per quella casta avvolta da sinistre ombre; parole di fuoco, che molti non intendevano.

     Ma andiamo avanti!


     Nel raccoglimento di un tempio

     Si celebrava in quei giorni, nel maggior tempio, intonato a cristiana semplicità, religiosamente austero, una messa di suffragio per i caduti della montagna. Altre messe, in altro non lontano tempo, con la stessa devozione, con la stessa solennità, erano state celebrate in quel tempio, per altri caduti.
     Il quadro, velato di nero, si presentava quasi identico. Le autorità, in un lato, nel loro riservato raccoglimento; la parentela un po' più giù, vicino alle scale, in nera mestizia. Ovunque, nei suoi movimenti e nella sua curiosità, il popolo. Qualche rumore per la sistemazione delle rappresentanze e dei labari; qualche trambusto fra i ritardatari, nella occupazione dei posti.
     Usciva, intanto, dopo il suono del campanello, con composta pompa, il sacerdote celebrante. Nel silenzio che ne seguiva, nei ceri che ardevano, nell'incenso che fumava, l'orchestra, con largo sostegno d'organo, iniziava la sua musica. Musica che con le sue agili fughe, con le sue larghe modulazioni, con i suoi melodiosi accenti, come tenui carezze, penetrava, avvolgeva l'attonito commosso animo. Animo che a poco a poco si elevava, saliva, quasi smarrito, nei cieli, vi vagava. Poi, a mano a mano, tornava in sè, ridiscendeva, tornava agli uomini, tornava alla volubilità della terrena vita.


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Umberto