Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     S'invocava con quella musica, con quel canto che l'accompagnava, con il divino sacrificio di quella messa, pace per le anime di coloro, che si ritenevano caduti per una giusta causa. Per quella stessa causa giusta, per cui altri, su altra strada, erano pure caduti, ai quali, in quello stesso tempio, era stata dedicata la stessa solenne funzione.
     Identiche le ragioni. Ciò nonostante, i fratelli, che discendevano da una stessa gente, che parlavano una stessa lingua, che credevano ad uno stesso Dio, che avevano per patria uno stesso territorio, per torve partigiane passioni, tra fratelli si odiavano, si perseguitavano, si uccidevano, si erano uccisi.
     Quella musica, con le sue melodiose variazioni, tenui talvolta come sospiri, vibrate tal'altra come comando, pareva che invocasse, per chi sapesse intenderla, pace non soltanto per i morti, ma pace anche per i vivi.



     Fiamme su la vetta

     Mentre le manifestazioni per la liberazione finivano, si compiva un atto molto significativo, sfuggito forse ai più. Le bandiere delle nazioni unite, issate con la nostra in segno di festosa solidarietà, per qualche tempo si ritiravano.
     Molto sensibili i cavallereschi nostri nuovi alleati!
     Per qualche giorno restava, così, sola la nostra bella bandiera, a palpitare nella serenità del nostro cielo.
     Sola rimaneva quella bandiera, che consacrata nel sangue delle lotte e delle rivoluzioni, accompagnava l'Italia, quando, risvegliata, si metteva in marcia verso il suo nuovo destino. Quella bandiera che se, nelle sue vicende, era stata costretta a ripiegare su i funesti campi di Novara, risventolava, poi, più bella su i trionfi di S. Martino e sul sacro Campidoglio, luce del mondo.


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Umberto