I partigiani avevano cercato, nell'attesa, di meglio predisporsi a difesa, ma non tardavano a sorgere tra essi dissensi. Nel darsi lassł un ordinamento, non riuscivano i capi a mettersi d'accordo. Ognuno riteneva di possedere i requisiti per esercitare le funzioni di comandante, disdegnando i diritti che agli altri potessero competere per la maggiore capacitą, etą e grado militare. Il capitano Bianco, ad esempio, molto impulsivo, non intendeva cedere il comando tattico, che gią esercitava, quando tra gli ufficiali vi era il t. colonnello Taraschi, reduce da molte guerre. La discordia, che nella discussione si allargava sempre pił, anche per la scelta della posizione sulla quale fare la maggiore resistenza, non poteva non avere, di fronte alle bene agguerrite truppe tedesche, conseguenze dolorose.
Ciononostante, anche quel giorno, per bravura della loro artiglieria, comandata dai capitani Adamoli e Lorenzini, resistevano, in qualche modo, agli attacchi nemici.
Mentre nel bosco si lottava, i Tedeschi rimasti a Teramo, ritenendo che quella resistenza, favorita dal terreno, non potesse essere stroncata, pensavano per rimuoverla di ricorrere ad altri mezzi. Alcuni ufficiali, in vero, presentatisi al Prefetto, dopo un riepilogo della situazione, gli dichiaravano, con la consueta durezza, che se quelle bande non si fossero sciolte entro un dato tempo, sarebbe stata compiuta, su Teramo, per rappresaglia, una forte incursione aerea.
Molto turbato e preoccupato, il Prefetto, che aveva in me molta fiducia, me ne dava subito comunicazione. Sperava, poi, che io mi offrissi di andare al bosco, per persuadere i partigiani, con la mia autoritą, a sciogliersi, a far ritorno alle proprie case. Offerta brusca, che mi poneva in una alternativa penosissima. Per scongiurare il minacciato bombardamento, certo funesto alla mia cittą e ai miei concittadini, sarei dovuto andare, avrei dovuto impegnare tutto me stesso, per assolvere nel modo migliore la dura missione.
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