Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     «Razza dannata!» avrei voluto rispondere, se non fossi stato trattenuto da altre considerazioni. Qualche altra cosa si doveva pur dire, anche per prevenire un qualche altro sciagurato diretto atto, come in altre località era avvenuto. Ma che dire?
     Tutti gli argomenti, nelle tre angustiate ore di discussione, si dovevano ritenere ormai esauriti. Tutti? Nella mente in tempesta ad un tratto mi balenava, come luce divina, un'idea, che a mano a mano si ampliava, finiva di dominare. Idea che conduceva ad una di quelle risoluzioni, con le quali si forma la leggenda, s'innalza la vita, si creano gli eroi.
     Questa volta, con un morale più elevato, fiero di me, guardai con maggiore calma, con nuovo animo i tremendi messi di sangue e di morte. L'idea, che tenevo ormai in mio possesso, come salvezza, non poteva non esercitare, nella sua generosità e nella sua bellezza, una propria decisiva forza. Ripetei ancora una volta, che la loro richiesta, comunque si esaminasse e si considerasse, risultava sempre ingiusta, inumana. Giacchè non poteva essere annullata, nè modificata, altra risoluzione offrivo, la più facile, la più semplice, la più conveniente: offrivo in olocausto per tutti, chi raccoglieva in sè, nella povertà e nella ricchezza, nei vizi e nelle virtù, come in una meravigliosa sintesi, tutta la comunità. Offrivo la fucilazione del suo capo, che poteva soddisfare, con il suo sangue, le esigenze più spinte, la rabbia più feroce: offrivo, nella mia persona, la fucilazione del Podestà, che sin da quel momento si metteva a loro disposizione.


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Umberto