Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     Il rapporto sulla Sardegna così concludeva: Tutto sommato, ritengo che siano poche le probabilità di un attacco alla Sardegna e in ogni modo ritengo che esse siano di molto minori di un tentativo d'invasione contro la Sicilia, la cui posizione strategica rappresenta un ostacolo ben più grande nel bacino mediterraneo per i nostri avversari. La conquista della Sicilia non presuppone un'ulteriore operazione contro la penisola, ma può essere fine a se stessa perché dona al nemico la sicurezza del movimento, diminuisce l'impegno delle sue forze navali e le perdite del suo naviglio mercantile: rappresenta, cioè, da sola, un obiettivo di reale e preminente importanza al quale tendere con ogni sforzo e con ogni rischio.
     Ai primi di giugno il generale Guzzoni assunse il Comando delle truppe in Sicilia. Il primo apprezzamento ch'egli fece della situazione fu un telegramma che segnalava molte deficienze, anche di carattere morale. Gli fu chiesto un rapporto più dettagliato, che giunse — per corriere — di lì a pochi giorni. Nonostante tre anni di preparazione, la situazione veniva prospettata come difficile. Fra l'altro un infelicissimo manifesto del predecessore generale Roatta aveva giustamente ferito la patriottica suscettibilità dei siciliani. Lo stato dell'isola era miserrimo. Città rase al suolo, popolazioni raminghe e affamate per le campagne, disorganizzazione quasi totale della vita civile.
     

Lo sbarco in Sicilia

     In data 12 giugno, dopo la resa di Pantelleria e un massiccio bombardamento della Spezia che aveva arrecato gravi danni alle navi da battaglia, il generale Ambrosio mandava un appunto al Duce, nel quale annunciava il nuovo dispositivo per la difesa della penisola, e cioè le divisioni "Ravenna" e "Cosseria", "Sassari", "Granatieri", "Pasubio", "Mantova" per la costa occidentale con cinque divisioni di riserva: "Piacenza", "Ariete", "Piave", "16a corazzata tedesca" e "Panzergrenadiere". Veniva prospettato anche l'invio della la divisione corazzata "M" (Camicie nere), divisione che dal giorno del suo concentramento nella zona di Bracciano fu una specie di incubo per lo stato maggiore e la dinastia. In base alle esperienze di Pantelleria e Lampedusa, le direttive del generale Ambrosio erano le seguenti: intervento tempestivo della nostra aviazione che deve sin da ora pensare per ovviarvi alle difficoltà nelle quali verrà a trovarsi; informare il criterio della difesa a uno scaglionamento in profondità in modo da sottrarre, dove è possibile, all'offesa aerea, personale ed armi, e all'intervento dei rincalzi per battere il nemico appena sbarcato e ancora in crisi; orientare i reparti ad agire di iniziativa quando, come avverrà certamente, i collegamenti non dovessero più funzionare; prendere tempestive disposizioni di carattere logistico per la vita dei reparti che rimanessero isolati, farei opera morale sui combattenti perché tutti sappiano che il sacro suolo della Patria va difeso palmo a palmo sino alla morte. Frasi bellissime, ma soltanto frasi, perché in realtà i comandi superiori e inferiori non si erano mai preoccupati del "morale" dei soldati, e nelle alte sfere, continuando il turbamento degli spiriti provocato dalla inattesa fulminea capitolazione di Pantelleria, si delineava già uno stato d'animo tendente alla resa. Una ripresa di disfattismo era in atto. L'attacco alla Sicilia veniva preannunciato dalla propaganda nemica — sempre ascoltatissima — come non solo sicuro, ma imminente. Durante tutto il mese di giugno l'aviazione nemica sottopose a un bombardamento metodico le località maggiori e minori della Sicilia, aumentando la confusione e il disagio alimentare dovuto alla interruzione del traghetto e alle distruzioni ferroviarie dell'isola.