In guerra, si disprezza il denaro. Chi ne ha lo manda a casa. Non si sa nemmeno come spendere la cinquina. C'è il vivandiere, ma sta molto lontano e non ha che delle scatole di sardine. Giunge di notte e di giorno se ne va. Il valentuomo ha paura delle granate e degli shrapnels. Se io fossi nel colonnello, lo costringerei a rimanere — con noi — in prima linea.
16 Ottobre.
Notte eccezionalmente calma. Anche la vedetta austriaca ha riposato. Niente ta-pum. Stamani, sole. Passano sulle nostre teste — in alto, molto in alto — dei proiettili d'artiglieria, ma non si capisce di dove vengano, né dove siano diretti. Il tenente Morrigoni, di complemento, mi annuncia la sua promozione a capitano, di complemento. Lascerà la compagnia. Il tenente Fanelli se ne va all'infermeria. Ha i piedi rovinati dal freddo e dall'umidità. Due feriti di pallottole. Distribuzione di cioccolato, mandato da un ignoto amico.
— C'è qualcuno che si ricorda di noi! —
La Libera Stampa di Locarno mi giunge con un articolo dedicato alla memoria di Giulio Barni, caduto sul campo di battaglia. Povero ed eroico amico! I superstiti, fra noi, ti ricorderanno sempre!
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Cader prigionieri in mano agli austriaci: ecco una eventualità che spaventa i miei commilitoni.
— Piuttosto morire! — dicono tutti.
Questo spiega il numero esiguo di prigionieri italiani fatti dall'esercito austriaco. Quelli del nostro reggimento non arrivano alla decina e sono stati sempre colti di sorpresa.
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Qui, nessuno dice: «Torno al mio paese!». Si dice: «Tornare in Italia». L'Italia appare così, forse per la prima volta, nella coscienza di tanti suoi figli, come una realtà una e vivente, come la Patria comune, insomma.
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